In questo articolo desidero parlare della mia esperienza a seguito della partecipazione ad una simulazione di sessione condotta secondo il metodo proposto dall’Istituto di formazione Res di Torino presso il quale ho studiato.
Durante l’incontro mi sono offerto senza indugio come “cliente” e ho vissuto una situazione in cui avrei dovuto affrontare le mie paure più intime.
Ricordo di essermi sentito accompagnato dal terapeuta in tutto il percorso, avevo la netta sensazione di essere seguito, ero come in una zona di comfort esperienziale.
Vado per ordine: dopo il colloquio iniziale, quello che nel metodo viene chiamata la fase parole (sopra in foto), ci siamo spostati nella zona di lavoro delle arti terapie e lì, poiché avevo dichiarato di sentirmi un po’ teso, mi è stato proposto di sdraiarmi e di rilassarmi respirando con lunghi e intensi respiri.
Continuando a respirare sono stato invitato a mettere voce nella fase di espirazione.
All'inizio mi sentivo ancora teso e poco sciolto sia nella voce che nel respiro, ma continuando a farlo le tensioni si sono progressivamente allentate e la voce è diventata più piena e vigorosa.
A quel punto, il terapeuta mi ha proposto di accompagnare quel risveglio con movimenti delle mani e delle gambe sempre più ampi.
Il passo successivo è stato quello di stiracchiarmi, stirarmi, allungarmi in una serie di movimenti di sblocco che mi hanno portato ad alzarmi e che sono culminati in una danza sul posto.
Mi sentivo sempre più in contatto con me stesso e avvertivo che le proposte che ricevevo erano molto sintonizzate sul mio bisogno, soprattutto quando danzavo sul “tappeto dell’arte”(sopra in foto), con ampi movimenti delle braccia, busto e testa.
Ricordo la consegna successiva: aggiungere la voce al movimento.
E proprio lasciando fluire il corpo e la voce, si è creata in me una sorta di rilassamento generale ed una reattività che mi ha permesso di lasciare andare le mie emozioni.
Sì! Mi sentivo più sciolto, le difese stavano cadendo durante l'esecuzione e il mio corpo diventava più morbido e elastico.
Man mano che andavo avanti sentivo leggerezza, nonostante la consapevolezza di essere osservato da tutti i colleghi studenti, cosa che in parte mi faceva sentire in imbarazzo, ma allo stesso tempo fiero di proseguire.
L'imbarazzo andava progressivamente scemando e a tratti mi sentivo come se non avessi nessuno intorno: ero io da solo con i miei movimenti.
Più andavo avanti più saliva l'energia dentro di me, più mi muovevo e più una parte di me trovava la sua strada.
Un cambio di musica mi ha portato a cambiare il ritmo: i miei movimenti si facevano più ampi, usavo gran parte della stanza, ascoltavo i suggerimenti di muovere maggiormente le spalle e il tronco e di continuare ad usare la voce (in effetti mi sentivo leggermente bloccato, avevo un ostacolo che non riuscivo a superare: ancora non ero totalmente libero di espandere la mia energia, qualcosa mi impediva di tirare fuori quella contenuta al mio interno).
Ad un nuovo cambio di musica e di luci ho iniziato ad avvertire una morbidezza che seguivo con i movimenti: era una morbidezza piena ma anche delicata. Io mi sentivo proprio così.
Sono stato facilitato ad ampliare i miei movimenti, quando l'operatore si è posto di fronte a me: eravamo come due persone che scambiavano un dialogo senza parole.
Questo scambio reciproco, di dare e avere, era qualcosa di intimo: ero seguito e questo mi ha permesso di essere stimolato ad andare oltre, sentivo l’energia crescere in una forma esponenziale che ancora non trovava la sua strada.
Questo processo è proseguito attraverso il fenomeno del transfer intermodale, che è l’atto di passare da un mediatore artistico all’altro per vari scopi, tra cui facilitare l’emersione di una conclusione artistica.
Ho pertanto realizzato un disegno, un’immagine nella quale ho raffigurato tre sfere una più grande dell'altra, sfere piene di colori.
Molta energia era presente nell’immagine, si sentiva tanta forza che voleva uscire fuori, così mi é stato chiesto se questa energia volevo danzarla.
Ho accettato, l’arteterapeuta ha proposto una musica che ho trovato molto bella e così ho iniziato a seguire le sensazioni che provavo.
Si trattava di una musica morbida, con un suo salire di intensità. Ho iniziato a seguirne il flusso.
Ero dentro una spirale che mi avvolgeva e mi trascinava con forza e una potenza sprigionava calore dentro di me, ero una fiamma che ardeva di vita propria, il mio corpo si muoveva da solo, non era più sotto il mio controllo, era dentro il flusso di cui facevo parte insieme alla musica, sentivo e vedevo gli occhi ed i visi delle persone che avevo intorno.
Ero emozionato a vederli ed ero grato che fossero lì.
L'esperienza é stata riportata di nuovo sul foglio e la sessione è finita così, con una mia condivisione finale sul significato dell’esperienza.
Conclusioni: il processo è molto potente, ma, a mio avviso, bisogna riconoscere momento per momento ciò di cui ha bisogno il cliente.
Non è facile all'inizio per uno studente in formazione, ma con il tempo si riuscirà a cogliere quei piccoli particolari che fungono da indizi sul come andare avanti.
Nell’esperienza ho appreso che occorre seguire il cliente passo passo e fare in modo che avverta di non essere solo.
Occorre riuscire a cogliere tutte le sfumature che si presentano e nel condurre la sessione bisogna saper accompagnare il cliente dove vuole arrivare, e non portarlo dove l’operatore pensa sia giusto (anche se ritiene “che sia bene per lui”).
E’ importante cercare di comprendere ciò di cui ha bisogno il cliente in quell'istante e cosa vuole esprimere di sé nell'arte creativa.
Il cliente si deve sentire a proprio agio, deve potersi lasciare andare nell’esperienza: la sessione diventa l’occasione per togliersi metaforicamente i vestiti di dosso, essere nudo e senza veli, sentendosi veramente accompagnato in questo percorso dall'operatore.
Solo in questo modo avviene realmente la facilitazione e si possono amplificare le sue capacità di sviluppo e di auto-sostegno.
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